Parliamo di protesi d’anca

Quali sono le domande più frequenti che generalmente un paziente fa all’ortopedico?

Buongiorno dottore, mi è stata diagnosticata una coxartrosi, è grave

Per coxartrosi si intende la degenerazione dell’articolazione dell’anca, cioè viene a mancare la cartilagine che riveste la testa del femore e l’acetabolo (la parte del bacino). Quindi “osso sfrega contro osso” e crea dolore.

Premetto sempre che l’artrosi un processo fisiologico, che viene col tempo [“..è normale che un paziente anziano abbia meno cartilagine di un paziente adolescente, specialmente se ha effettuato lavori usuranti o se pesa molto..”].

Molto spesso il paziente si è già approcciato al medico curante o al centro di fisioterapia: per lenire il dolore sono giusti farmaci antinfiammatori e terapie fisiche. Comunque lo scopo di qualsiasi trattamento è far ritrovare all’anca quell’equilibrio con il resto del corpo, equilibrio che si è perso con l’insorgenza dei disturbi. Solo se non dovesse passare con un’adeguata fisioterapia allora in quel caso l’ortopedico indica l’intervento di protesi d’anca, ma quest’ultimo è sempre procrastinabile dopo il tentativo nel ritrovare il Core Stability.

Quindi “grave”…: nulla di urgente, è normale che un’articolazione col tempo invecchi. 

L’ortopedico mi ha indicato da subito l’intervento. Perché? Non mi ha fatto nemmeno fare della fisioterapia…

E’ molto importante il colloquio. E’ da chiedere sempre al paziente e ai suoi familiari quanto sia invalidante il dolore nella vita quotidiana, se questo lo limita nel cammino, nel sonno o nella vita di relazione. A volte uno specialista esperto deduce da segni radiografici un quadro di degenerazione articolare tale che delle sedute di fisioterapia siano poco esaustive e tentativi di infiltrazioni articolari (non scevri da rischi) siano solo uno “spreco di soldi”. Insieme al paziente si mettono sulla bilancia i pro e i contro nell’indicare l’intervento.

Se è presente un’importante RIGIDITA’, quando muove passivamente l’anca rispetto al corpo, deve spiegare che più è rigida la parte articolare (snodo tra testa ed acetabolo) maggiormente le forze di torsione si scaricano più sotto, a livello del collo del femore (zona molto fragile che risente dell’osteoporosi), quindi può bastare che il paziente inciampi per aumentare il rischio di avere una frattura. E’ importante che il paziente lo sappia, quindi stia attento, tolga i tappeti per casa e si prenda ogni precauzione per evitare distrazioni nel cammino. Una rigidità articolare non deve esser trascurata, anche perché non riuscire a mettersi le calze sottende una deambulazione con anca flessa, quindi uno squilibrio del sistema motorio, mal di schiena ed un’usura di altre articolazioni.

A cosa vado in contro? Quando camminerò? Quanto resto lontano da casa?

Oramai in tutta Italia si seguono le Linee guida intersocietarie (della nostra Società Ortopedica SIOT, degli Anestesisti SIAARTI, dei Medici Trasfusionisti SIMTI, di Emostasi e Trombosi SISET e comunque delle Direzioni Ospedaliere ANMDO), che implicano una fase di prericovero (circa un mese prima) in cui il paziente viene valutato dall’internista, anestesista, cardiologo… per rassicurarlo […per fargli capire che non è solo con l’ortopedico, ci sono altre figure che lo seguono nel percorso, tutto finalizzato al suo disturbo, e centrato sulla sua figura in generale, non solo alla sua anca…] ed il ricovero il giorno prima dell’intervento.

L’intervento generalmente è in anestesia spinale e dura circa 40-60min; un eventuale piccolo drenaggio per limitare ematomi interni, che viene rimosso in seconda giornata.

Negli ultimi anni la ricerca ortopedica ha mostrato particolare interesse al protocollo Fast-Track (cioè RECUPERO VELOCE), per un più rapido ritorno ad una vita normale senza dolore, per ridurre le perdite ematiche peri-operatorie, la lunghezza delle incisioni chirurgiche, il dolore post-operatorio ed il tempo medio di ricovero. Quindi generalmente il paziente cammina dal giorno dopo l’intervento.

Con qualsiasi via d’accesso/tecnica si effettui l’intervento è sempre consigliata la fisioterapia, dopo circa 5 giorni il paziente deve esser preso in carico da un fisiatra che lo curi per ritornare alla vita quotidiana [ndo: una qualsiasi protesi articolare per stabilizzarsi impiega sempre mesi, lo dico sempre al paziente: che sarà contento dell’intervento dopo il terzo/quarto mese, sebbene dopo un mese di fisioterapia ritorna già a casa, autonomo, ma sarà essenziale ancora fisioterapia, cyclette e tonificazione glutea…].

Ho paura dell’intervento…? Ci sono dei rischi?

L’ortopedico sa che il paziente ha paura, deve con la sua umanità stargli accanto e tranquillizzarlo ma al tempo stesso con la sua esperienza e trasparenza non nascondergli i possibili rischi e complicanze, che purtroppo essendo un intervento di Chirurgia Ortopedica Maggiore ci possono essere. La visita preoperatoria è il punto fondamentale [torno quindi alla seconda domanda] che serve a mettere sulla bilancia i benefici successivi cercando di evitare le complicanze, così INSIEME SI CURA IL PROBLEMA.

Le complicanze fondamentali [tratto da TotalHipReplacementSurgery Risks and Complications, Arthritis-Healt, di Hansen E. 03marzo2020] sono comunque rare: (1-3%) problemi di lussazione (che la protesi non resti in sede, evento possibile se il paziente ha un’età avanzata e/o una muscolatura non buona, o non effettua un’adeguata fisioterapia di recupero post-operatorio!); (<1-2%) infezioni (accentuate dalla presenza di diabete, malattie infiammatorie, età avanzata.. a seguito del quale il paziente deve fare una terapia antibiotica mirata – ndo: possiamo lavare e detergere il campo operatorio tantissimo ma purtroppo i batteri possono annidarsi ovunque); (<1%) problemi neurologici (come la paralisi dello SPE, cioè di un nervo chiamato sciatico popliteo esterno che porta ad una impotenza all’estendere le dita del piede, a volte a risoluzione in mesi e che necessita l’utilizzo di un “tutore” al piede stesso).

L’ortopedico può mettere in atto tutte le strategie possibili per evitare le complicanze, per avvicinarsi il più possibile ad abbattere il rischio, purtroppo a volte ci possono essere, l’importante è non abbandonare mai il paziente, metterci sempre corpo e anima nel seguirlo per farlo guarire dal problema.

Ma è vero che la protesi dopo un po’ di anni va rifatta?

Se l’intervento viene effettuato correttamente l’anca ritorna come quella fisiologica, senza dolore e senza rigidità, ma sempre soggetta ad usura: come si è usurata col tempo, con gli sforzi, se il paziente riprende ad effettuare lavori pesanti, continua a pesare molto, la protesi si scolla prima. [ndo: Le casistiche mondiali sono molto diverse tra loro, ma nel valutare una media degli anni di durata delle protesi d’anca rientrano anche soggetti in età sempre più giovane, che riprendono a svolgere lavori manuali pesanti, ad effettuare sport estremi, a sciare specialmente in America. Diciamo che se il paziente riprende la propria vita sedentaria il rischio di “rifare la protesi” è molto molto basso. Questo non vuol dire che il paziente non possa tornare a fare sport…].

Ci sono delle alternative alla protesi? Ho sentito parlare delle cellule staminali…

Cellule staminali non vuol dire “pozione magica” che risolve ogni problema. In una fase iniziale, quando non sono presenti compromissioni dell’osso [ndo: l’artrosi genera buchi nell’osso sotto la cartilagine usurata] e non ci sono segni di rigidità, un valido “TENTATIVO” (e ribadisco “tentativo”: come dico al paziente per far sì che non si aspetti che l’anca ringiovanisca come quella di un adolescente) può essere l’utilizzo delle cellule staminali.

Leggi: Cosenza 2.0

Sono scoperte recenti, meno di cinque anni fa… Quindi anche il follow up non è lunghissimo. Molti pazienti trattati stanno bene senza aver notato riscontri strumentali veri e propri. 

Le cellule staminali rigeneratrici (presenti nel cordone ombelicale, placenta, midollo…) usate in ortopedia sono quelle mesenchimali, che ritroviamo nel grasso del paziente stesso. Un prelievo adiposo e sua purificazione può consentire di ottenere le cellule staminali mesenchimali che iniettane nell’articolazione dell’anca (o nel ginocchio) creino una serie di risposte di probabile rigenerazione condrocitaria. Speriamo che queste scoperte vadano avanti e diventino sempre più certe.

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